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Il Superbonus di nuovo al centro della discussione in vista delle ulteriori modifiche.

23 febbraio 2023

Per l’ennesima volta lo Stato ha rinunciato ad essere Stato.

Il Superbonus di nuovo al centro della discussione in vista delle ulteriori modifiche alla misura.

Il superbonus nasce con la grancassa della propaganda parlamentare nel maggio del 2020, con l’intento dichiarato di essere una misura capace di rilanciare il settore edilizio dopo la crisi economica del Covid e come misura ecologica, per risolvere il problema dell’efficientamento degli edifici, visto che, come dimostrano i dati ISTAT, il 56% delle abitazioni censite nel nostro paese sono nella fascia energetica E ed F, ossia sono energeticamente dei colabrodo estremamente energivori.

La misura consiste in un credito d’imposta fino al 110% della spesa per l’efficientamento energetico di edifici esistenti, per interventi di efficientamento energetico in grado di far salire lo stabile di due classi energetiche.

Naturalmente solo la fascia di popolazione con reddito più alto può sperare di scomputare la spesa sul credito IRPEF spalmato in quattro o cinque anni, mentre la fascia più consistente della popolazione non può permettersi di anticipare i capitali necessari per i lavori. Venivano così penalizzate le piccole e piccolissime imprese che non potevano realizzare lo sconto in fattura, previsto, a fronte della cessione dei crediti da parte del proprietario e anche i proprietari meno abbienti. Per questo motivo, grazie a pressioni ed emendamenti che abbiamo presentato, il governo ha previsto la cessione del credito ad istituti di credito, tipo le banche.

Eppure, qualcosa non ha funzionato. Le banche hanno cominciato a negare l’acquisizione del credito a fronte di difficoltà di copertura e di troppa opacità nelle cessioni concatenate.

Con il decreto Sostegni Ter del novembre 2021 la cessione del credito è stata limitata per questo ad un massimo di tre passaggi.

Eppure, le richieste hanno superato molto presto al soglia pur consistente di previsione di spesa del governo che andava oltre i 30 miliardi, per cui a novembre scorso il governo, con il decreto Aiuti Quater, ha optato per una rimodulazione del Superbonus 110% che è passato per la maggior parte dei lavori al 90%.

Nei giorni scorsi il governo è però intervenuto bruscamente con un Decreto Legge che impedisce lo sconto in fattura e la cessione dei crediti.

Questa è una sciagura enorme per i piccoli proprietari e le imprese edili, a cui occorre dare immediate risposte per evitare collassi economici e licenziamenti a catena..

È vero che è da anni che si assiste a una raffica di critiche rivolte alla misura, ma un’azione così brusca rischia di generare conseguenze disastrose.

Si parla da tempo di truffe, per 9 miliardi si dice, anche se è un calcolo che include tutte le misure dei bonus edilizi e che solo in piccola parte riguarda il 110%, questo è accaduto per controlli annacquati dai troppi passaggi di credito, a volte fasulli, che ha permesso emissione di fatture false. Una lunga catena di cessioni del credito ha portato opacità e ha permesso a imprese nate anche solo all’occorrenza di avere un guadagno illecito.

In ogni caso le truffe devono poter essere arginate attraverso i controlli e opportune modifiche alla legge, con controlli ex ante e post ante e non affossando un provvedimento in iter, bloccando un settore già in sofferenza.

Ma il problema del superbonus è altrove, come abbiamo più volte osservato anche nelle sedi deputate, è nella sua iniquità: a usufruire del Superbonus sono stati infatti i ceti più abbienti della popolazione, ed era ovvio e prevedibile.

Come era ovvio i risparmi d’imposta calcolati nell’arco 2022-2026 della misura si concentrano maggiormente tra i contribuenti più abbienti. E’ stato calcolato dagli uffici legislativi del Senato che il rientro dell’investimento statale è inversamente proporzionale all’aumento del reddito; se si fosse limitata la misura a fasce di reddito inferiori il guadagno annuo sarebbe stato maggiore: limitando il Superbonus a contribuenti con reddito al di sotto dei 200 mila euro, in cinque anni il risparmio sarebbe stato di 1.1 miliardi di euro; a 100 mila euro, 3.5 miliardi, a 50 mila, 9.6 miliardi, quasi 2 miliardi all’anno. Ma la verità è che questa misura avrebbe dovuto prevedere, come si disse, un tetto ISEE di 25 mila euro, il risparmio annuo del governo sarebbe stato a doppia cifra, e avrebbe interessato gli edifici più energivori, sicuramente quel 56% di immobili di categoria E ed F, che sono gli edifici degli anni 60, 70 e 80, appartenenti sicuramente alle fasce di proprietari meno abbienti.

Molta spesa per poco guadagno, al 31 gennaio 2022 infatti solo una frazione esigua degli interventi riguardavano i condomini, mentre la maggior parte delle richieste sono andate a beneficio di case private singole e si reputa di lusso. A fronte di molti miliardi pubblici si è riqualificato solo il 2% del patrimonio immobiliare, non quello che ne aveva più bisogno non a favore dei proprietari che ne avevano più bisogno.

Ma bloccare la cessione del credito ora crea un problema enorme ad imprese e cittadini, soprattutto a quelli con minore capacità finanziaria, è ovvio. Se è vero che le cessioni del credito rischiano di acuire le truffe, la cancellazione della cessione e dello sconto in fattura farà sì che solo coloro che detengono buoni capitali iniziali per i lavori potranno permettersi di usufruire del Superbonus. Le grandi imprese e i proprietari più ricchi, e questo, ricordiamolo, lo faranno a costo della collettività, con soldi pubblici, anche, ricordiamolo, con i fondi del PNRR, che prendiamo in gran parte a debito.

Nell’ultima audizione della commissione finanze e bilancio il direttore generale Giovanni Spalletta, infatti, ha detto che il fabbisogno per il Superbonus sarebbe di 61 miliardi, ben 25 miliardi più di quanto preventivato. E questo a fronte di un utilizzo molto limitato della misura, visto che solo una percentuale molto bassa del patrimonio immobiliare è stato ristrutturato.

Si registrano al momento circa 19 miliardi di crediti incagliati. Questi crediti sono in carico alle aziende che non riescono però a trovare istituti di credito in grado di cedergli la liquidità necessaria per poter pagare fornitori e dipendenti e finire i lavori. In questo momento sono varie le opzioni sul tavolo, tra cui quella della compensazione attraverso gli F24, ma il governo non ha ancora deciso sul da farsi.

In conclusione, il Superbonus è uno strumento nato in un momento drammatico per l’economia italiana dopo il blocco economico dovuto alla pandemia, ed è stato sbandierato come soluzione al problema economico, occupazionale e climatico, ma ha dimostrato più problemi che benefici.

L’alternativa, che abbiamo più volte proposto, avrebbe richiesto lungimiranza politica, si sarebbe dovuto puntare a un piano pubblico strutturale per la riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare che versa nelle peggiori condizioni, concentrando la misura su quel 56% di abitazioni degli anni 60, 70 e 80, in classe energetica E F; l’intervento pubblico, fatto con soldi pubblici, diretto dallo stato, avrebbe così rilanciato l’occupazione nel campo dell’edilizia, e aiutato i piccoli proprietari con maggiori difficoltà economiche e fatto davvero ben all’ambiente, contrastando l’emergenza climatica, oltre che quella abitativa che versa nelle peggiori condizioni.